Il tempo, per essere pensato, trasmesso e condiviso, necessita della parola. Tempo uguale parola, poiché solo attraverso la parola il tempo cessa di essere un fluire indistinto, anche di atomi di cesio, cioè di eventi fisici fondamentali e ripetitivi, e diventa ordine, rappresentazione, memoria e scienza. La parola, però, non esiste come entità autonoma, ma solo nel dialogo tra un emittente e un ricevente. È un oggetto dialogico, effimero e relazionale, che vive solo nell’incontro tra soggetti, come un simbionte che si definisce e si rigenera continuamente nella relazione. Senza dialogo, non esiste parola, e senza parola non esiste tempo umano.
Il tempo digitale rappresenta oggi la misura più precisa e oggettiva del flusso temporale. Basato su orologi atomici, in cui il decadimento e le transizioni degli atomi di cesio forniscono un impulso stabile e ripetibile, e su sistemi computazionali, integra parametri multipli come frequenza, fase, latenza e deriva, garantendo una sincronizzazione globale e robusta. Questo lo rende probabilmente il vero tempo cronologico, inteso come la misurazione oggettiva e continua del trascorrere degli eventi fisici nell’universo, indipendente dalla percezione soggettiva.
Tuttavia, il tempo digitale è un dato tecnico e quantitativo, privo di senso simbolico in sé. Per acquisire significato e divenire tempo vissuto, narrato e condiviso, come quindi il tempo cronologico, esso deve necessariamente entrare nel campo della parola, del dialogo e della relazione simbolica. Solo così il tempo digitale si coniuga con il tempo umano, diventando parte integrante di una esperienza temporale complessa, che è insieme misura e racconto.
Il tempo, in quanto esperienza umana, è un concetto duplice: ha una base materiale, fisica, digitale, misurabile con esattezza crescente; ma ha anche una natura simbolica, instabile, relazionale, che si costituisce nel linguaggio. Il tempo digitale è oggi la forma più affidabile di scansione cronologica: la sua precisione permette di sincronizzare mondi interi, di regolare traffico aereo e transazioni finanziarie, di misurare lo scorrere di ciò che accade. Ma questo tempo, lasciato a se stesso, non dice nulla.
Solo la parola — oggetto dialogico, effimero, simbionte — rende il tempo qualcosa di condiviso, di ricordabile, di raccontabile. Solo nella parola il tempo cessa di essere sequenza e diventa ordine, memoria, storia, attesa. Dire tempo uguale parola non è una metafora: è il riconoscimento che ciò che chiamiamo tempo umano non esiste senza simboli, senza un altro, senza una lingua che lo ospiti.
La convergenza tra tempo digitale e parola non è una fusione, ma una mediazione: il primo fornisce la struttura, la seconda il senso. Il tempo, oggi, si misura con impulsi atomici, e se anche i nostri atomi ubbiscono a quella legge noi non siamo i nostri atomi, meglio, non la pensiamo come loro.
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